Il perché? E’ presto detto: l’elevatore si sarebbe dovuto basare, secondo i primi teorici, su una struttura di nanotubi di carbonio, sostanzialmente una forma allotropica ad esagoni del carbonio (ovverosia in cui gli atomi si legano fra loro in maniera diversa dal normale, avete presente il diamante e la matita?) capace di reggere sino a 100 gigapascal di pressione per singolo nanotubo.
Per fare un confronto con la realtà più vicina a noi basti pensare che un singolo “filo” di questo materiale e dello spessore di un capello potrebbe sorreggere un’automobile.
In realtà i problemi sono arrivati nella sperimentazione pratica, quando il professor Feng Ding (politecnico di Hong Kong) ha provato a strappare un atomo (sempre di carbonio ovviamente) dalla struttura, o ad immetterne uno, constatando una enorme instabilità in situazioni di questo genere; dunque un singolo atomo fuori posto farebbe crollare l’intera struttura, e considerando la difficoltà nella lavorazione del materiale in questione, errori simili sarebbero all’ordine del giorno e, sebbene ininfluenti nell’uso terrestre, porterebbero ad una catastrofe se un ipotetico ascensore spaziale dovesse crollare.